Negli sport di endurance come la corsa su lunghe distanze, il ciclismo, lo sci di fondo o il triathlon, uno dei fenomeni più evidenti e difficili da gestire è il progressivo calo della prestazione durante la gara. Anche atleti ben allenati, ben nutriti e idratati, sperimentano un decadimento della velocità, della potenza e dell’efficienza col passare dei chilometri o delle ore.
Ma perché succede, anche in condizioni ottimali? La verità è che il fenomeno dell’affaticamento non è ancora completamente compreso da un punto di vista fisiologico. Quello che sappiamo è che le cause sono molteplici e si intersecano tra fisiologia, biomeccanica e psicologia.
Proviamo a vedere i fattori principali che spiegano il deterioramento della prestazione:
1. Fatica neuromuscolare: un logoramento progressivo
Durante uno sforzo prolungato, il sistema neuromuscolare viene continuamente sollecitato. Le fibre muscolari si affaticano e diventano meno efficienti nel contrarsi e generare forza. Anche il sistema nervoso centrale fatica a mantenere il reclutamento delle unità motorie, portando a un rallentamento del gesto atletico.
Inoltre, la coordinazione motoria peggiora col tempo: piccoli errori biomeccanici che all’inizio sono impercettibili si sommano, aumentando il costo energetico di ogni contrazione e peggiorando la qualità del gesto tecnico (bracciata, pedalata o passo).
2. Esaurimento energetico: il “muro” metabolico
Il corpo umano può conservare solo quantità limitate di glicogeno, che è la principale fonte di energia ad alta efficienza per attività di endurance. Anche con una strategia nutrizionale ben calibrata, non è possibile reintegrare completamente ciò che si consuma. Questo porta a:
- una riduzione della disponibilità energetica,
- un passaggio più marcato all’ossidazione dei grassi (fondamentale nell’endurance ma meno efficiente),
- un calo della velocità o della potenza prodotta.
3. Surriscaldamento corporeo e regolazione termica
Col passare del tempo di gara, la temperatura corporea sale. Anche se l’atleta si idrata regolarmente, il calore generato supera la capacità di dissipazione. Il sistema circolatorio è costretto a redistribuire il sangue verso la pelle per favorire la dispersione termica, riducendo così l’afflusso ai muscoli attivi. Questo compromette la produzione di energia e aumenta la percezione di fatica.
4. Degradazione meccanica e aumento del costo energetico
Il gesto atletico diventa meno preciso e più rigido. Le scarpe, l’attrezzatura o la superficie d’appoggio (es. asfalto o terreno sconnesso) possono accentuare microtraumi e squilibri muscolari, portando a una meccanica del gesto tecnico meno efficiente. Questo fa aumentare il costo energetico per ogni chilometro o pedalata, aggravando il calo di prestazione.
5. Fattori mentali: la fatica centrale e la percezione dello sforzo
La mente gioca un ruolo cruciale. Con il tempo, aumenta la percezione soggettiva dello sforzo (RPE). Anche se lo sforzo fisiologico non cambia, il cervello lo “sente” più pesante. Questo porta a:
- ridurre inconsciamente l’intensità,
- peggiorare la coordinazione,
- innescare strategie di risparmio energetico involontarie, come accorciare la falcata o ridurre la frequenza del gesto.
Quindi…
Il calo della prestazione durante una gara di endurance non è semplicemente un segnale di “scarsa forma” o di cattiva alimentazione. È il risultato di un logoramento progressivo dell’intero sistema corpo-mente, che coinvolge muscoli, nervi, metabolismo e mente.
Tuttavia, la consapevolezza di questi meccanismi permette all’atleta di:
- pianificare una strategia di pacing ottimale,
- gestire l’alimentazione e l’idratazione in modo mirato,
- allenare la resistenza non solo fisica ma anche mentale.
Il vero segreto non è evitare la fatica, ma imparare a ritardarla e conviverci nel modo corretto.